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Reggio Calabria: bambini “si divertono” nelle sale slot, l’allarme del Csi «A che gioco stiamo giocando?»

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Oratori e campetti chiusi, a Reggio Calabria, alcuni bambini “si divertono” all’interno di sale slot che, invece, rimangono aperte e non sono fonte di contagio.

È forte la denuncia che arriva dal Csi Reggio Calabria che, attraverso il suo presidente Paolo Cicciù, vuole sensibilizzare un tema poco discusso in questi giorni: la sorte dei ragazzi residente nei quartieri “difficili” delle Città, spesso ostaggio della solitudine o nel peggiore dei casi delle devianze.

La pandemia è un mostro invisibile da combattere e non è semplice bilanciare la volontà di arginare la diffusione epidemiologica con la tutela delle libertà individuali.

In queste ore si moltiplicano gli appelli ad evitare «attività superficiali», individuando in tal senso quelle ludiche e motorie. In linea di principio, tutto perfetto. Dopo anni di attività sul campo (e non si tratta di una metafora!), «ci stiamo interrogando, secondo coscienza e con forte tensione emotiva, su che fine faranno i ragazzi che vivono i quartieri–ghetto delle nostre città, aree borderline della solitudine urbana dove, spesso e volentieri, il ritrovarsi al campetto era una scialuppa di salvataggio» afferma Paolo Cicciù.

Come Csi oggi, non possiamo abitare quegli spazi: non possiamo seguire i ragazzi di Arghillà o del Rione Marconi, perché la loro attività sportiva è amatoriale, lontana dall’essere strutturata, protetta, federale. È sbagliato fare la guerra tra poveri, ma ci chiediamo, con ostinata incertezza, se qualcuno si sta ponendo il problema di tutelare lo Sport di Comunità.

Le risposte latitano. Il campetto, la strada, la piazza sono off–limits, mentre le sale slot rimangono aperte: «Scusate la retorica, prosegue Cicciù ma ci viene da domandarsi: a che gioco stiamo giocando? Quale promiscuità è punita, quale è concessa».

Un’osservazione che nasce dalla segnalazione di alcuni ragazzi che si scambiavano dei passaggi di palla tra slot machine e salette “riservate”.

Incalza Cicciù: «Negli anni abbiamo fatto del volontariato sportivo, il nostro marchio di fabbrica. Accanto ai tanti ragazzi dei quartieri difficili, ne abbiamo incontrati altri che, con spirito di fratellanza, hanno indossato calzettoni e maglietta per giocare una partita ostica, ma bellissima».

Il Coronavirus non può fermare questi processi e la strada ci sarebbe pure: «Durante i mesi del lockdown, abbiamo elaborato una proposta di Sport di Comunità che facesse rivivere i cortili, luoghi cari ai giovani degli anni ‘80 e ‘90.

E dopo averlo progettato, lo abbiamo fatto: siamo scesi a giocare. Come? Siamo andati in giro per la provincia di Reggio Calabria, da Locri alla Ciambra di Gioia Tauro. Con semplicità, riproponendo i “giochi della nonna”. Facendolo in massima sicurezza, avendo adottato un protocollo nazionale, SafeSport, che mette al primo posto la salute dei ragazzi.

Bene, crediamo che la modellizzazione di quella esperienza propone Cicciù possa evitare che le strade dei quartieri, specialmente i più difficili, si svuotino andando ad allargare, inesorabilmente, la platea di sale slot e piazze di spaccio. Gli strumenti ci sono, basta cercarli.

Ed evitare che, alla fine di questa pandemia, non dovremmo osservare – conclude – un altro disastro epocale: quello giovanile».

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