Il consigliere regionale Alecci dice no all’autonomia differenziata
In Consiglio Regionale si è svolto il dibattito sullo schema del Disegno di Legge sull’Autonomia Differenziata proposto dal Ministro Roberto Calderoli.
Durante il mio intervento ho sentito tutta la responsabilità e il peso del ruolo che i cittadini calabresi ci hanno chiamato a ricoprire, perché reputo questo un passaggio fondamentale per il futuro di tante generazioni.
E mi addolora il fatto che il Presidente Roberto Occhiuto abbia votato favorevolmente a questa riforma all’interno della Conferenza delle Regioni, senza una discussione preliminare in questa Assemblea, svilendo di fatto il ruolo stesso del Consiglio.
Appena presa la parola ho voluto, infatti, esprimere con forza il mio dissenso riguardo i dettami di questa riforma e le prospettive alle quali questa riforma, qualora diventasse vigente, condannerebbe le regioni meridionali, dando vita ad un Paese spaccato, diviso, lacerato. Ci sono una serie di motivi per cui opporsi convintamente, di varia natura.
Innanzitutto una valutazione di carattere geopolitico. In uno scenario come quello attuale, caratterizzato dalla situazione post pandemica, dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica e dall’aumento dell’inflazione, lo Stato dovrebbe semmai assumere il ruolo sempre più importante di guida unitaria, nella definizione di accordi e strategie sovranazionali, con ricadute poi nei vari territori. Poi ci sono valutazioni di tipo normativo.
Così come prospettata la riforma svuota il Parlamento di tutta la centralità e i poteri che i padri Costituenti hanno ampiamente e diffusamente inserito nella Costituzione.
Una riforma che prevede una trattativa diretta tra Regioni e Governo riguardo il grado di autonomia su una o più materie di intervento, l’emanazione di una serie di dPCM per portare avanti questi processi a partire dalla definizione dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni), tempi ristretti per la definizione di materie difficili e complesse, l’impossibilità di tornare indietro una volta accordata l’autonomia regionale.
A ciò si aggiunge la centralità della questione della definizione dei LEP da garantire su tutto il territorio nazionale prima di poter procedere al regionalismo differenziato. Un lavoro molto complesso, delegato ad una cabina di regia di nomina governativa da svolgere in soli 12 mesi, altrimenti, e qui siamo al paradosso, il Governo dovrebbe commissariare se stesso.
Ma la definizione dei LEP sarebbe solo il primo passo, perché poi occorrerebbe valutare il loro costo (quantificabile probabilmente in miliardi di euro) e l’impatto di questo sul bilancio nazionale, per uno Stato che già oggi fa registrare notevoli difficoltà nel garantire le prestazioni pubbliche su tutto il territorio nazionale.
E’ evidente come questo nuovo assetto, qualora introdotto, tenderà a penalizzare in maniera sempre più gravosa le regioni meridionali. Garantire i LEP, infatti, vuol dire garantire la sopravvivenza di una comunità, ma non prevede in alcun modo lo sviluppo di un territorio.
Dopo aver garantito il livello minimo di prestazioni all’interno delle “regioni più povere”, le altre potranno comunque investire il surplus generato dalla loro fiscalità, aumentando la qualità di tutti i loro servizi in maniera sempre crescente, divenendo sempre più attrattive.
Pochi giorni fa il rapporto della Banca d’Italia ha messo in luce un divario già enorme tra il Nord e il Sud riguardo molti parametri. La Calabria appare come “una regione in forte difficoltà dove è necessario un intervento pubblico più efficace, in termini di trasporti, infrastrutture, servizi ospedalieri etc.”.
Nel giro di qualche anno il divario tra Nord e Sud, tra regioni più ricche e regioni più povere andrà sempre e comunque ad aumentare. La scuola, la sanità, i trasporti, i servizi sociali continueranno ad avere due velocità, per sempre. E questo sarebbe un prezzo troppo alto da pagare.
Il mio no di oggi non è un no ideologico. Come sancito dalla Costituzione posso essere d’accordo nel dare ad alcune regioni in alcune limitate materie una certa autonomia.
Per esempio la Calabria potrebbe godere di una certa autonomia nel turismo, nell’agricoltura, nel recupero dei borghi. Ma ogni bambino, qualunque sia la regione di nascita, deve avere gli stessi servizi, le stesse opportunità, il miglior futuro possibile.
Sono sempre più convinto che non possa esistere un’Italia forte senza un Sud forte. Il Presidente Occhiuto fin dai primi minuti dopo la sue elezione ha dichiarato di voler fare della Calabria una “regione normale”, pensando prima di tutto a restituire ai calabresi il diritto alla cura nella propria regione, l’opportunità di un lavoro dignitoso, di strade sicure, di una prospettiva della qualità della vita della di un Paese civile, ma questa non mi sembra la strada giusta.
Chi vuole bene al Sud, alla Calabria e ai calabresi non può essere a favore di questa riforma!