“Un sogno ad Istanbul” incanta il teatro Manfroce
Il teatro Manfroce di Palmi si è immerso in “Un sogno ad Istanbul”. La rassegna Synergia 48, organizzata dell’associazione culturale Nicola Antonio Manfroce e finanziata con l’avviso pubblico Promozione Eventi Culturali 2022 della Regione Calabria, ha proposto al pubblico un viaggio dentro l’amore che salva e dentro la guerra che ha insanguinato i Balcani dove, nonostante tutto, nevica ancora. Sul palcoscenico Maddalena Crippa, Maximilian Nisi, Mario Incudine, Adriano Giraldi spaziano dalla vibrante interpretazione, alla narrazione, alla voce fuori campo, al canto e alla danza. Così dimensioni private, collettive, corali ed epiche si intrecciano in questa «ballata per tre uomini e una donna», sottolinea Maddalena Crippa, che anche a Palmi, ultima tappa ma solo di questa stagione, ha inanellato un grande successo. Diretto da Alessio Pizzech “Un sogno ad Istanbul” è ispirato al best seller di Paolo Rumiz “La cotogna di Istanbul”, con testo teatrale di Alberto Bassetti.
I saluti del presidente dell’associazione Amici della musica Manfroce, Antonio Gargano, e del magistrato anche promotore del Festival Nazionale di Diritto e Letteratura a Palmi, Antonio Salvati, hanno preceduto l’inizio del viaggio.
Max è un ingegnere austriaco inviato a Sarajevo nel 1997. Maša è una donna che da subito si mostra piena di bellezza e carisma straordinari. Pur avendo conosciuto l’inferno della guerra fratricida, non ha dimenticato il paradiso che era quella stessa terra ferita. «Quelle strade chiuse dalla guerra, oggi sono strade percorribili e vivibili. Del dolore resta il ricordo. Un sollievo da un male terribile e scampato, almeno per alcuni. Non tutto finisce con la morte», dice. Lei ha due figlie. È vedova e divorziata. Con il suo racconto, affascinante e pregno di suggestioni, della distruzione e della rinascita della sua Sarajevo incanta Max. «Lei racchiude la vita in un giro di stelle che si librano nel cielo, leggere». Un legame scandito dal distacco e poi dal ritorno segnato dalla malattia di Maša. Circostanza che non impedirà al loro amore di germogliare e alla passione di esplodere in infinite primavere, intense e gioiose. Una trasposizione teatrale cangiante che si nutre di forti simbologie. Dai capelli rossi lunghi e fluenti, poi divorati dalla malattia di Maša, alla terra, elemento naturale che attraverso il suo tocco e la sua gestualità parla, racconta, testimonia. E la storia incede su un’alternanza fatta di parole narrate e intonate, di ritmi antichi e atmosfere rievocate, di suggestioni e speranze che vibrano in canti struggenti e in danze vivaci.
«Non è una commedia con musiche, non è un musical, non è uno spettacolo teatrale tradizionale. È una ballata assolutamente originale plasmata da “La Cotogna di Istanbul” di Paolo Rumiz, un poema in endecasillabi molto corposo. Ci sono, dunque, i dialoghi e c’è anche il racconto epico che la musica dilata. Una storia privata – spiega l’attrice Maddalena Crippa – ma anche corale perché richiama la guerra nei Balcani. Maša è una donna straordinaria che incarna la femminilità che l’Occidente sta smarrendo, assorbito come è dal rincorrere la dimensione maschile. È una donna che desidera la maternità, conosce la cura, la dolcezza e la bellezza che in essa risiedono. Conosce la nostalgia di un mondo passato, in cui lei musulmana bosniaca poteva sposare un serbo ortodosso. Conosce l’identità profonda del suo popolo e, attraverso gesti come il lavaggio delle mani oppure la preparazione del caffè, rituali pregni di significato, la incarna, la custodisce e la tramanda. Dunque forza e dolcezza convivono in lei», spiega ancora l’attrice Maddalena Crippa.
«Una ballata, che è un inno alla musicalità – spiega l’attore Maximilian Nisi – i piani del racconto sono molteplici e intrecciati. C’è il piano di un amore travolgente nonostante il tempo che fugge e i distacchi. C’è una guerra che mette a nudo quanto l’Europa sia fragile, avendo consentito che il peggio avvenisse e seminasse disgregazione frammentazione. C’è una vita che va oltre la morte e che reclama e trova spazio nella narrazione intrisa di struggente speranza di Maša e nel viaggio che Max, ingegnere austriaco e figlio di un nazista, compie innanzitutto dentro sé stesso. Un viaggio attraverso il quale raggiunge, passando da una Sarajevo ferita dalla guerra, una parte di sé stesso alla quale altrimenti mai sarebbe arrivato. Un’autentica epifania per lui. Un’esperienza sul palcoscenico molto particolare, molto poco consueta nel teatro contemporaneo». Legano questi piani del racconto la musicalità e la tradizione che culminano nella Canzone che salda per sempre, al momento del distacco, Max e Maša. «La canzone “La Cotogna di Istanbul” celebra il frutto, emblema della terra e delle origini», conclude l’attore Maximilian Nisi.
La canzone è, dunque, la chiave di volta della narrazione perché «spalanca le porte sigillate del destino e apre le porte nere della notte».