Calabria

10 domande a Giacomo Francesco Saccomanno autore del libro “La questione meridionale… è la volta buona?”

di Nicoletta Toselli

Nel suo libro lei cita l’editoriale di Massimo Tigani Sava che parla della Lega e del Sud. Quale ritiene sia stato il vero cambiamento nell’approccio di Salvini alla questione meridionale rispetto al passato?

Penso che Salvini abbia compreso quale sia il problema del Sud e, quindi, con il suo intervento nel campo delle infrastrutture, cercando di colmare quel gap che esiste oggi. Solo con una serie di interventi mirati allo sviluppo del territorio si può in qualche modo alleviare questa differenziazione, che è davvero molto, molto pesante.

Lei descrive un sistema sanitario calabrese in grave difficoltà. Quali sono secondo lei le cause principali che hanno portato al deterioramento della “vecchia sanità” che, pur con i suoi difetti, garantiva un rapporto più umano con i pazienti?

Il problema sono stati gli undici anni di commissariamento per la riduzione del deficit, per un rientro nei limiti imposti dal governo, che naturalmente hanno impoverito la possibilità di continuare a offrire le prestazioni dei vecchi ospedali.

Inoltre, c’è stata la mancanza di un piano generale infrastrutturale della sanità, di una programmazione che prevedesse non solo l’abbattimento dei costi, ma anche la riorganizzazione del sistema. Oggi abbiamo ospedali chiusi, altri aperti ma senza personale ausiliario e senza medici.

Non si intravede all’orizzonte quella che potrebbe essere la sanità una volta superato il problema del piano di rientro. Abbiamo una mancanza di visione, che non è esaminabile.

Ho sempre detto che in Calabria ci sono ospedali rossi come quelli di Cosenza, Catanzaro e Reggio Calabria, ma attorno manca tutto: mancano servizi di soccorso di alto livello, mancano mezzi di trasporto adeguati, come elicotteri, perché le nostre strade non sono certamente idonee.

Nel libro lei affronta il tema della ZES unica. Perché ritiene che la centralizzazione delle Zone Economiche Speciali possa rappresentare un problema per lo sviluppo del Sud?

Penso che questo sia un problema per una semplice ragione: quando si accettano determinate condizioni, da un lato ci possono essere risultati positivi, ma dall’altro si perde il rapporto con il territorio.

Questa perdita potrebbe creare situazioni di criticità. Tanto è vero che vediamo come certi progetti non sono partiti come avrebbero dovuto. Abbiamo pochi interventi, specialmente in Calabria, e sembra che manchino ancora le risorse adeguate

Vista la sua esperienza diretta del territorio, quali sono secondo lei i tre interventi infrastrutturali più urgenti per la Calabria?

Per quanto riguarda gli interventi attorno al ponte, va detto che il ponte stesso è un catalizzatore di ulteriori opere. Il ponte costa circa cinque o sei miliardi, ma è fondamentale anche tutto ciò che gli ruota attorno, come l’alta velocità, che è cruciale per evitare l’isolamento.

erve un adeguato sistema viario, e la SS 106 deve funzionare, così come tutti gli altri progetti in atto. Abbiamo circa 50 miliardi da spendere nei prossimi dieci anni, durante i quali verrà costruito il ponte.

Questo è un investimento altissimo che dobbiamo portare avanti. Dobbiamo gestirlo noi cittadini calabresi, non farcelo imporre da altri.

Ci vuole quindi una responsabilità della pubblica amministrazione, che collabora con chi sta seguendo queste opere. Porto l’esempio di Corigliano, dove c’è un dialogo tra l’amministrazione comunale e l’autorità portuale.

Si sta facendo un investimento importante. C’è davvero bisogno di un dialogo aperto e sereno, senza posizioni preventive. Bisogna dialogare per cercare di trovare le soluzioni.

Nel libro lei parla dell’emigrazione di giovani medici calabresi. Quali misure concrete suggerirebbe per trattenere queste professionalità sul territorio?

La prima cosa da fare è risistemare il sistema sanitario calabrese. Ci sono punti di eccellenza, ma la maggior parte del sistema non funziona. È chiaro che un giovane medico preferisce fare esperienza in strutture che funzionano e possono arricchirlo professionalmente. In Calabria, a parte poche eccezioni, questo non avviene.

È come costruire un edificio: bisogna partire dalle fondamenta. Ora dobbiamo riorganizzare la sanità e dare la possibilità ai giovani medici di formarsi qui, anziché dover andare a Milano o all’estero. Ma per fare questo, bisogna avere un sistema sanitario funzionante.

Lei cita la Cassa per il Mezzogiorno come esempio di intervento che “tanto ha fatto” ma non ha risolto il divario. Cosa è mancato secondo lei in quella esperienza?

È mancata la condivisione del territorio per quanto riguarda gli interventi. In passato, quando non c’erano ristrettezze economiche, si è pensato di fare di tutto, senza però rendersi conto che ciò che si faceva non era utile. Ci ritroviamo con molti edifici o opere che non sono stati utilizzati.

Un esempio è l’ospedale di Rosarno: si sono spese molte risorse, c’erano persino le sale operatorie, ma non è mai stato aperto perché non si è condiviso un progetto valido. È rimasta un’opera inutile, come tante altre.

Nel libro lei parla di “povertà culturale, sociale ed economica” della Calabria. Come si può spezzare questo circolo vizioso?

Intanto abbiamo un problema serio, lo dico con molta chiarezza: abbiamo una classe dirigente che non ha la necessaria capacità di essere leader e, quindi, naturalmente questo ci penalizza fortemente. Escludo il presidente della regione e qualche assessore, così come qualche consigliere. Per il resto, abbiamo una mediocrità diffusa, lo dico con molta serenità e me ne assumo la responsabilità.

Cosa vuol dire questo? Vuol dire che la Calabria non può crescere. In queste condizioni, non può crescere, quindi è chiaro che bisogna fare davvero un salto di qualità, soprattutto sotto l’aspetto culturale. Porto l’esempio del ponte sullo Stretto: abbiamo una guerriglia continua su questa opera, che è strategica ed importantissima.

È un problema, sì, partitico, ma è anche un problema culturale. Coloro che dicono “no ponte” non si rendono conto, o non vogliono rendersi conto, che se non cogliamo questo momento fondamentale e importante per il Sud e l’attività del ponte dovesse bloccarsi, bloccheremmo tutto il resto.

Bloccheremmo l’alta velocità e tutto ciò che potrebbe rappresentare un momento di grande importanza per l’intero Sud e per l’interconnessione.

Questa è, in parte, la povertà culturale di cui parlare, perché non si riesce a guardare avanti e a prevedere una programmazione a lunga scadenza. L’ho sempre detto: in Calabria ci mancano molte cose.

Abbiamo delle risorse enormi, come il turismo, ma non esiste un piano turistico regionale decennale. Lo stesso vale per l’agricoltura: manca un piano regionale agricolo. E così via, anche per quanto riguarda le infrastrutture.

Noi non abbiamo mai costruito un piano infrastrutturale per la Calabria. In questo momento è stato il Ministero a decidere di intervenire in Calabria, dove, tra l’altro, si parla della strada statale 106 da cinquant’anni, ma mancano i progetti, e così via. Ecco perché dico che manca quella programmazione che un politico e una classe dirigente dovrebbero assolutamente garantire. Senza programmazione, non si va da nessuna parte.

Lei evidenzia come i calabresi eccellano professionalmente in altre regioni e nazioni. Perché secondo lei non riescono ad esprimere lo stesso potenziale nella loro terra d’origine?

Ne ho parlato proprio ieri con il presidente dell’associazione “Sacchi e Artigianali”, che rappresenta la Calabria a livello nazionale. Il problema è che in Calabria c’è un individualismo spaventoso e anche una guerriglia tra i soggetti, che invece di cooperare per crescere, fanno la guerra per piccole cose.

Quando, invece, il calabrese va fuori, è caparbio, intelligente, capace e riesce a superare quelle che possono essere le difficoltà. Io lo ripeto, ne parlavo ieri. L’unica cosa che in questo momento può in qualche modo alleviare o tentare di salvare la Calabria sono le forze esterne calabresi, che sono tante e possono creare un laboratorio di idee per sostenere il processo di sviluppo della Calabria.

Altrimenti, non riusciamo a farlo perché ci sono troppi tentacoli che bloccano. Non parlo tanto della ‘Ndrangheta, perché la ‘Ndrangheta, francamente, si può combattere; ci vuole coraggio per farlo, ma si può combattere.

Penso invece a quelle che sono le collusioni e la corruzione di una ‘Ndrangheta politica. Quella sì è una cosa molto grave, perché lì c’è il consenso della politica a sottostare a quelle che sono le indicazioni della mafia, e questo è pericolosissimo. È una cosa pericolosa perché non consente lo sviluppo: non è solo questione di fare opere, ma di voler sfruttare direttamente le risorse per interessi propri.

Quale ruolo possono giocare i media nel superamento della questione meridionale, considerando la sua critica alla distorsione dell’informazione?

Io penso che l’informazione debba essere obiettiva, debba essere oggettiva. Comprendo che dire le cose come stanno probabilmente non faccia scalpore, non porti vendite, non crei quell’attrazione che, invece, può derivare da una notizia negativa, come quando si parla di arresti o altro.

Oppure, ad esempio, quando si discute delle faglie legate al ponte e delle criticità del progetto. Però, io dico: parliamo di fare un’informazione che sia davvero serena, un’informazione reale, dando spazio anche alle critiche che possono aiutare a crescere ea migliorare.

Non si può fare un’informazione in cui i punti principali siano solo critici, a volte anche non reali o non veritiere, lasciando da parte tutti gli interventi positivi. Ecco, questo è ciò che penso.

L’informazione ha una grande responsabilità nella crescita di una regione. Se si informa correttamente e si dicono le cose come stanno, è chiaro che il cittadino può capire cosa sta succedendo. Ma se si danno notizie che non sono reali o sono fuorvianti, è ovvio che il cittadino si trova spaesato e rischia di credere a quello che c’è scritto.

Il sottotitolo del suo libro è “…è la volta buona?”. Cosa la rende più o meno ottimista rispetto al passato sulla possibilità di risolvere finalmente il divario Nord-Sud?

Mi rende positivo il fatto che ci sia una volontà concreta di realizzare infrastrutture che non sono mai state fatte e che ci sia una determinazione nella loro realizzazione. In questo momento, c’è anche una predisposizione economica, e quindi, pur trovandoci in un periodo di ristrettezze, prevedere che nei prossimi dieci anni la Calabria possa investire 50 miliardi nelle infrastrutture è qualcosa che, per me, rappresenta una grande speranza.

Non era mai stato previsto un importo così significativo per la Calabria, e devo dire che si sta procedendo a ritmi veloci: ANAS, RFI, che sono i principali soggetti coinvolti, stanno facendo molto.

Naturalmente, con i tempi imposti dalle nostre leggi sui lavori e dalla progettazione nel dettaglio, ma stanno lavorando con celerità. Si è parlato tanto della statale 106 o della rete ferroviaria, in particolare della Ionica.

Bene, la rete ferroviaria non era ancora completamente elettrificata, ma stanno procedendo con i lavori, nonostante alcune opere fossero già state avviate. Per quanto riguarda la statale 106, in passato mancavano i progetti, o comunque erano solo parziali. Ora si sta lavorando sui progetti, così come sulla nostra alta velocità.

Stanno operando anche sulla tirrenica: fino a Praia è tutto a posto, e stanno appaltando i lavori fino a Reggio Calabria.

Ovviamente, c’è ancora discussione su come dovrà essere completato, ma è qualcosa di concreto e con tempi molto più brevi rispetto ai 40 anni che in passato ci sarebbero voluti per completare una strada. Il Sud, e la Calabria in particolare, devono approfittare di questo momento favorevole. E come si può farlo?

Accompagnando la realizzazione delle opere alle reali esigenze del territorio. Abbiamo moltissime opportunità, e se gestite bene, se coinvolgiamo i cittadini e le amministrazioni locali, probabilmente il risultato sarà migliore rispetto a lasciare tutto com’è e affidarsi ad altri.

Ecco, io penso che oggi abbiamo tutti la necessità di prendere atto di questo cambiamento e di andare avanti spediti, dando ognuno il proprio contributo.

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