Calabria

Alecci sul mare sporco in Calabria e sulle responsabilità di Regione e Arpacal per il mancato monitoraggio dei corpi idrici

ernesto alecci

Quest’estate tutti abbiamo assistito allo scempio del mare sporco, soprattutto sulla costa tirrenica, che ha fatto infuriare turisti, residenti e operatori turistici.

In piena alta stagione, per molti giorni è risultato impossibile fare il bagno e godere del nostro meraviglioso mare.

La Regione e Arpacal hanno sempre sostenuto che quella sporcizia che galleggiava fosse costituita da alghe che proliferavano sia a causa delle alte temperature che del copioso apporto di sostanze nutrienti dai corsi d’acqua, frutto di attività umana legata all’agricoltura, agli allevamenti e all’industria.

E a questo proposito sottolineavano la necessità di controlli più serrati sulle attività produttive che scaricano illegalmente i loro reflui nei corsi d’acqua, richiamando anche gli imprenditori a un maggior senso di responsabilità.

Ma ritengo inutile e dannoso cercare capri espiatori o fare appello alla responsabilità dei cittadini, quando in questo caso è del tutto evidente che la colpa sia dei vertici regionali, a cominciare dal Presidente Occhiuto e dal Commissario di Arpacal Iannone.

Tutto ciò, infatti, poteva essere prevenuto e gestito per tempo. Già due anni fa avevo portato all’attenzione del Presidente e dei cittadini il fatto che Arpacal stava inutilmente sprecando l’occasione di effettuare il monitoraggio di tutti i corpi idrici della regione con finanziamenti europei già stanziati.

Ho anche prodotto per tempo varie interrogazioni al riguardo, ricevendo solo alla prima una risposta vaga e approssimativa.

Si trattava di un progetto che, se attuato, avrebbe consentito di individuare le situazioni di criticità su cui intervenire, realizzando quei controlli di cui oggi (paradossalmente!) si reclama l’urgenza.

Questo importante progetto doveva concludersi un anno fa e, in seguito all’elaborazione dei dati ottenuti, avrebbe permesso di intervenire nelle aree maggiormente interessate dal fenomeno.

Non dico che in un anno si sarebbe eliminato completamente il problema, ma certamente si sarebbe potuto fare qualcosa per evitare la situazione vergognosa che tutti noi stiamo subendo e individuare gli eventuali responsabili di azioni illecite.

Invece Arpacal quel progetto non l’ha mai attuato e i soldi, ovviamente, sono stati restituiti all’Europa, così come avevo purtroppo previsto con largo anticipo.

Sarebbe già un triste epilogo, ma c’è anche di più! Sempre Arpacal ha rassicurato la cittadinanza sul fatto che le alghe rilevate non fossero tossiche e che non ci fosse alcun problema per la salute pubblica, anche se, a quanto risulta, molte persone hanno accusato vari problemi dopo aver fatto il bagno, da gastroenteriti a dermatiti.

Di conseguenza si è proceduto a fare campionamenti a spron battuto su e giù per la costa tirrenica, utilizzando un grandissimo dispiego di forze, compreso personale non esattamente preposto o formato per quel tipo di prelievi.

E poi il colpo di scena finale: Arpacal, la scorsa settimana, a stagione balneare praticamente conclusa, in collaborazione con un istituto del Nord Italia, ha organizzato un corso per i propri tecnici per imparare a fare la determinazione delle alghe, utilizzando anche i campioni prelevati durante l’estate.

Ma se il corso per la formazione dei tecnici è stato fatto pochi giorni fa, chi ha fatto le analisi nei mesi scorsi e chi ha stabilito che non fossero pericolose? Basta la cronaca di quanto avvenuto per dimostrare tutta l’incapacità e l’incompetenza con cui è stata condotta l’intera faccenda.

Poteva essere fatto tutto per tempo, con finanziamenti europei e con personale già adeguatamente formato. Ma non è stato fatto, e a “pagare”, in tutti i sensi, sono sempre i calabresi.

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