Calabria
Calabria: nota stampa di Maria Concetta Valotta “pagine di un diario di guerra ”
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“Pagine di un diario di guerra”
Ho avuto l’onore ed il piacere di conoscere pochi giorni fa, l’autore di questo articolo Leonid Yarovenko, un diplomatico e scrittore ucraino, proveniente da Odessa, il quale, nei primissimi giorni del conflitto, ha vissuto, insieme ad altre 40 persone, in un improvvisato rifugio sotterraneo, prima di poter fortunosamente, raggiungere l’Italia.
Quello che segue è la sua testimonianza oculare.
“La guerra della Russia contro l’Ucraina.”
Di solito viviamo tutti in condizioni normali, ci alziamo la mattina, ci laviamo con acqua tiepida, facciamo colazione, andiamo al lavoro, i bambini sono all’asilo oppure a scuola, la sera la famiglia è tutta riunita insieme; la domenica si fa una passeggiata, ci si rilassa, si va in chiesa, ci si collega ad Internet, si usa WhatsApp, ci sono gli amici, si gioca con gli animali domestici, si incontrano i parenti, c’è il calcio, solitamente per gli uomini, per le donne magari il teatro. Tutto sembrerebbe un pò noioso, perché tutto è regolare e prevedibile, tradizionale e stabile.
Ma poi, un giorno, verso le 5 del mattino sento improvvisamente il suono delle sirene, un attacco dall’aria, esplosioni, razzi, bombardamenti! Alcune persone in uniforme militare che urlano e sparano; gli uomini corrono all’ufficio di registrazione per l’arruolamento nell’esercito, le donne piangono per la percezione che ci saranno grandi problemi, le nonne si lamentano.
Adesso tutto è molto pericoloso. L’artiglieria spara di nuovo, di notte, la corrente elettrica è interrotta, le persone non riescono a capire dove siano i loro padri, i bambini non sanno quello che sta succedendo, ma vedono i disordini e le minacciose sirene isteriche. Nessuno cerca di fermarle, l’acqua sta finendo e presto non c’è più riscaldamento.
È tutto cambiato in casa la mattina: lavarsi con acqua tiepida, fare colazione, andare al lavoro, i bambini all’asilo o a scuola, la sera la famiglia tutta insieme per la cena, domenica a passeggio, Internet, WhatsApp gli amici, gli animali domestici, la visita ai parenti, il calcio di solito per gli uomini, per le donne forse il teatro, sembrava tutto un po’ noioso, tutto misurato e prevedibile, tradizionale e stabile.
Nel pomeriggio si sentiva il ruggito dei razzi, le persone non riuscivano più a trovare i propri cari, chi aveva lasciato a casa i propri figli rimase con grande sgomento quando vide appartamenti semidistrutti, vuoti.
Una madre che era andata a comprare da mangiare, stringendo il telefono, che non aveva il segnale di linea, provava per la decima volta a chiamare la nonna, che era rimasta a casa con i bambini, aggrappandosi ad una speranza tentava di calmarsi, ripetendo freneticamente: “sono vivi, loro sono vivi”!
Profonde crepe nei muri, porte sfondate e nessun vetro alle finestre, ma non c’è nessuno nella stanza, significa che sono vivi, le lacrime le rigano le guance, la donna continua a stringere la mano magra con in pugno un iPhone inutile, dicendo ferocemente e con forza, “vivi, sono vivi, sì sì sì, vivi, vivi”!
Pochi giorni dopo, in quelle città dove l’aggressore intensifica i bombardamenti, si sentono le sirene negli scantinati e nei rifugi speciali.
Ma queste non sono aree preparate per rifugi 24 ore su 24. Il sesto giorno. Quasi tutti gli scantinati sono pieni di persone che cercano di sopravvivere, la luce oscura, alla luce delle candele, due pensionati, un uomo e una donna, che parlano tra loro a bassa voce. Dicono “è umido e ammuffito qui dentro, lui dice che non può essere evitato ma è più sicuro quaggiù che all’attico al piano di sopra.
C’era una ragazza con un bambino davanti a loro, aveva perso il latte dalla paura e dallo stress terrificante, il bambino piangeva tutto il tempo, aveva fame e i volontari avrebbero dovuto portare il latte artificiale, ma non sarebbe arrivato fino a quando l’allarme non fosse terminato. Scaldano l’acqua con i loro corpi e cercano di riscaldare il cibo con le candele, non c’è un bagno separato, ovviamente, hanno creato un angolo e lo hanno coperto con una scatola di cartone di un televisore.
Circa 40 persone, che sono sottoterra, persone diverse, vogliono solo vivere, vivere e sopravvivere, non hanno pretese su nulla, vivono come una volta. Il fischio e l’ululato delle mine traccianti e dei proiettili si placano. Finalmente compaiono i volontari, un ragazzo e una ragazza, forse 18-19 anni. Il seminterrato è ancora vivo e hanno dei pacchi e hanno portato qualcosa con loro.
La madre del neonato ha ricevuto il latte artificiale, sta allattando il suo bambino e sorride. Non ascolta i volontari, vede il bambino mangiare e poi dormire, i suoi occhi lacrimano di gioia, la luce della candela si riflette sul suo viso sorride, le lacrime le scendono sulle labbra scintillanti di tragica bellezza, il bambino dorme tranquillo e silenzioso. Tutti gli abitanti del rifugio esultano.
Un anziano nonno si porta il dito alle labbra, shhhh, silenzio! La bambina di nome Tanechka sta dormendo. I volontari tirano fuori dalla busta una pizza grande e leggermente secca.
“L’abbiamo trovata in negozio, è l’unica cosa rimasta al supermercato. E qui ci sono due bottiglie d’acqua. Quattro pani, formaggio scaduto e salsiccia blu. E qui c’è di più, dice la volontaria Nadia, fiammiferi, due scatole. I ragazzi si salutano e se ne vanno. Un uomo, un pensionato, inizia a dividere la pizza in piccoli pezzi, in modo che tutti ne possano prendere un po’.
Non c’era fine alla gioia dei cittadini nel seminterrato. Una coppia, hanno circa 45 anni, forse un po’ più grandi, si stanno gustando i pezzi di pizza sbriciolati e induriti, si ricordano che poco tempo prima avevano comprato la stessa pizza e la birra, ne mangiavano meno della metà e poi buttavano il resto via. Adesso faticano ad addentare la pizza secca, ricoperta di polvere, gustandola come se fosse bella calda, profumata di olive e formaggio, con i migliori ingredienti del miglior pizzaiolo italiano.
Il silenzio fu di breve durata; proiettili che sfrecciavano di nuovo, schegge che frantumano i tetti delle case, si sentivano le urla di donne e bambini, nascosti nei rifugi temporanei, nel caos. Anche attraverso i muri del seminterrato; Due eserciti stanno combattendo, uno per la libertà del suo popolo e l’altro, agli ordini del dittatore, cercando di “liberare” le masse di cittadini di un altro paese e di sottoporle al dittatore di un altro paesi, uccidendo e devastando tutto ciò che si trova sulla loro strada.
E nel seminterrato ci sono 40 persone (un millesimo dell’uno per cento di tutta l’Ucraina), diverse per stato ed età, sesso e religione, e vogliono tutte la stessa cosa: prima qualche boccata d’aria fresca e acqua pulita, e dopo la fine di questa guerra spietata, vivere come prima, vivere con le loro famiglie, l’acqua calda al mattino, gli alberi verdi nel parco e, naturalmente, la pizza 4 stagioni, preparata da un bravissimo pizzaiolo italiano.
– Leonid Yarovenko, noto scrittore e giornalista ucraino, vive ad Odessa ed è nostro gradito ospite a Cittanova, insieme alla sua famiglia che è riuscita a raggiungerlo da pochi giorni. È cristiano ortodosso, è laureato in filosofia e giurisprudenza, ha servito, in passato, nel corpo dei marines, nei servizi speciali diplomatici ed è stato consulente nella sicurezza geopolitica internazionale.
Intervista, traduzione in italiano e adattamento dell’articolo a cura di Maria Concetta Valotta