Cosenza

Nota del Coordinamento Nazionale dei Docenti della Disciplina dei Diritti Umani

Sono passati ormai vent’anni dall’omicidio di Antonio Maiorano, operatore radio della forestale, avvenuto il 21 luglio 2004 nei pressi della struttura antincendio del Consorzio di bonifica della Valle Lao, allestita al campo sportivo di Paola.

Tonino, così lo chiamavano i parenti e gli amici, quella mattina non doveva morire per mano di un sicario della ndrangheta in quanto era completamente estraneo a quel mondo criminale. Purtroppo assomigliava a Giuliano Serpa, un boss della ndrangheta oggi divenuto collaboratore di giustizia.

Le indagini sull’omicidio stabilirono che fu una vittima innocente determinata dall’eterna contesa tra le cosche del Tirreno cosentino: i Serpa-Bruni-Tundis-Besaldo e gli Scofano-Martello-Ditto-La Rosa.

Un bravo padre di famiglia e una persona onesta così lo ricordano quanti avevano avuto modo di conoscerlo. Oggi la sua memoria è commemorata dal giovanissimo studente calabrese, Rocco Graziani, della classe III sez. G, del Liceo scientifico Filolao di Crotone, le cui parole rievocano i fatti dell’epoca.

“Antonio Maiorano era un padre di famiglia, una persona mite, onesta e dall’animo gentile. Faceva l’idraulico forestale, e non si sarebbe mai aspettato nella sua vita onesta e laboriosa di morire senza una ragione.

Il 21 luglio 2004 era una tranquilla mattina come tante e Antonio era andato a lavorare presso la tenda del Consorzio di bonifica della Valle Lao, allestita al Campo sportivo di Paola, in provincia di Cosenza.

Era seduto su una sedia e stava leggendo il quotidiano, proprio dove poco prima era seduto Giuliano Serpa, boss dell’omonima cosca.

Quel giorno, la sfortuna dell’umile operaio è stata quella di somigliare al capo mafioso. Pertanto, il killer aveva scambiato il povero uomo per il boss e aveva dato il via per l’agguato. Due uomini su una moto si avviarono verso di lui; passati pochi secondi, nella direzione di Maiorano partirono tre colpi di arma da fuoco che lo colpirono a morte.

All’età di 46 anni, Antonio aveva lasciato nella disperazione la moglie, Aurora Cliento e i suoi due figli, Chiara e Samuele.

L’assassino di Maiorano, Bruno Adamo, spinto dal rimorso si pentì diventando collaboratore di giustizia.
Grazie al pentimento Bruno Adamo, nel 2024 Romolo Cascardo e Alessandro Pagano, durante il processo, sono stati entrambi condannati all’ergastolo, ma con pena ridotta per rito abbreviato a trenta anni. Pietro Lofaro, invece, è stato assolto.

Alla fine, una lotta fra due cosche ha portato alla morte di una persona innocente e una sofferenza infinita alla famiglia della vittima.

È fondamentale, quindi, continuare a contrastare tali atti criminali e garantire la giustizia nel rispetto delle leggi. Sul piano dell’ordine pubblico lo Stato ha sviluppato nel tempo una propensione a investigare sul territorio e ad arrestare gli affiliati delle organizzazioni mafiose. Infatti la legalità sta svolgendo il suo corso, punendo i colpevoli e sostenendo le famiglie delle vittime di mafia.”

Il Coordinamento Nazionale Docenti della disciplina dei Diritti Umani rileva come il progetto “#inostristudentiraccontanoimartiridellalegalità” stia diffondendo tra le giovani generazioni volti, storie, episodi veramente straordinari per la loro valenza educativa.

Prof. Romano Pesavento
presidente CNDDU

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