Sindaci carne da macello, Macrì “quanti parlamentari conoscono la norma sullo scioglimento dei comuni?”
“..Kappa non doveva dimenticare che il procedimento non era pubblico, poteva diventare pubblico se il Tribunale lo riteneva necessario, ma la legge non prescrive la pubblicità, pertanto, anche i documenti del Tribunale, soprattutto l’atto di accusa, non sono accessibili né all’imputato né alla difesa, quindi, in generale, non si sa o, almeno, non esattamente, contro che cosa deve indirizzarsi la prima istanza e questa perciò può contenere solo, per caso, qualcosa che abbia importanza per la causa.
Le istanze veramente pertinenti e probatorie si possono elaborare solo in seguito quando nel corso degli interrogatori dell’imputato emergono con maggior chiarezza i singoli capi di accusa e la loro motivazione o sia possibile indovinarli.
Stando così le cose la difesa viene naturalmente a trovarsi in una posizione molto sfavorevole difficile, ma anche questo è intenzionale la difesa, infatti, non è propriamente consentita dalla legge ma solo tollerata ed è persino controverso se il relativo articolo di legge lasci desumere almeno che questa tolleranza sia contemplata ..”.
Sembrerebbe scrive Giovanni Macrì, già Sindaco di Tropea dal 2018 al 2024 sui suoi canali social il frammento di un romanzo, ed effettivamente lo è, ma non è solo narrativa: è uno specchio spietato della realtà di molti sindaci del sud Italia, intrappolati in una morsa soffocante. Sono loro la carne da macello, costretti a combattere ogni giorno una doppia battaglia.
Da una parte, devono far fronte alle sfide quotidiane della loro comunità, sfide che ogni amministratore locale si trova a gestire.
Dall’altra, devono fare i conti con uno Stato o meglio, con una parte di esso che li guarda sempre con sospetto, che vede in loro dei possibili complici, solo perché operano in un territorio esposto alla criminalità organizzata.
Ecco, basta un ritardo, un’accelerazione, una parola di troppo o il silenzio assoluto, e improvvisamente tutto diventa sospetto. Ogni azione, o la sua mancanza, viene scrutinata come se potesse nascondere un legame oscuro con il crimine.
“Tu sei buono e ti tirano le pietre. Sei cattivo e ti tirano le pietre. Qualunque cosa fai, dovunque te ne vai. Tu sempre pietre in faccia prenderai…” È un circolo vizioso, una persecuzione silente ma incessante. La differenza la fa solo la figura del funzionario o, meglio, il carattere del prefetto in carica.
Cosa direbbero i nostri ministri, i nostri parlamentari, di fronte a questo stato di cose?
Come reagirebbero Nordio o Piantedosi, se leggessero l’agghiacciante frammento del “Processo” di Kafka, scritto oltre un secolo fa? Si renderebbero conto di quanto sia simile a ciò che accade oggi nel nostro sistema giuridico?
Sarebbero in grado di riconoscere, almeno loro, se c’è o meno qualcosa di paragonabile a ciò che perfino il più crudele dei dittatori considererebbe eccessivo?
E la domanda più importante: tutto questo, secondo loro, è compatibile con la nostra Costituzione? Con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea? Con i principi basilari dello Stato di Diritto che dovrebbe essere il nostro? È un interrogativo che brucia, che lascia una ferita aperta.
Ma è una ferita che nessuno sembra voler curare.
Mi chiedo, quanti tra i nostri parlamentari conoscono davvero la legge sullo scioglimento dei comuni? Chi ne sa qualcosa sui presupposti, le dinamiche, le conseguenze devastanti? Quanti comprendono il business (sì, il business!) che si cela dietro questa normativa?
Forse, e dico forse, dieci parlamentari, quasi sicuramente ex sindaci del sud, sanno davvero di cosa si parla. Gli altri? Per loro, tutto questo è solo un oscuro meccanismo burocratico, lontano, astratto.
Non sanno nulla di come una norma nata per situazioni estreme si sia trasformata in un’arma quotidiana, una mannaia che cade sulla testa dei sindaci senza che vi sia una vera giustificazione.
È diventata la normalità, e intanto i nostri rappresentanti guardano, passivi, come spettatori distratti di un dramma che non li tocca. Ecco, lancio un’altra pietra nello stagno. Non sarà la prima, né l’ultima, ma spero che prima o poi qualcuno si fermerà a riflettere. Forse, un giorno, qualcuno inizierà davvero a parlare di questo.
Forse conclude Macrì definendosi sindaco dissolto il 23.4.2024 e annunciando nuove puntate riusciremo a cambiare qualcosa.